domenica 13 settembre 2009

Acqua, legno e fuoco

Scendendo sulle fiancate, la curva del profilo dello scafo di un gozzo a vela latina supera le possibilità di curvatura naturale di una tavola di legno. Forzarla in posizione può causare rotture, o, peggio, cedimenti improvvisi una volta sotto sforzo.

Allora si ricorre ad un metodo arcaico, sempre uguale da migliaia di anni, probabilmente da quando Achei e Fenici costruivano le prime navi in legno.

Antonio, il giovane apprendista, già esperto, strofina con costanza e attenzione la tavola con uno straccio imbevuto d'acqua, mentre Michele Cafiero accende un fuoco con degli avanzi di legno in un secchio di ferro.
Il legno della tavola, poco alla volta, viene imbevuto di acqua, e diventa più elastico. Ma non basta ancora. Con estrema attenzione, Michele infila e rigira la tavola tra le fiamme. L'acqua penetra nelle fibre del legno, si riscalda e riscalda le fibre già ammorbidite. Se la tavola sembra asciugarsi, Michele la ritira dal fuoco e Antonio continua a bagnarla, in un gioco di equilibrio tra fuoco e acqua. Quando il legno sembra trasudare vapore, Michele si affretta verso Mast'Antonio che aspetta presso lo scafo del gozzo: con pochi gesti, veloci ma mai frenetici, fissano la prima tavola, il "torello", ancora fumante sulle ordinate, e la forzano contro la chiglia con "zeppe" e stringenti. La forano, la inchiodano, e quando la tavola si sarà asciugata, le fibre del legno resteranno deformate nella posizione imposta a caldo, ma senza forzature. Dopo, i carpentieri e l'apprendista si preparano a ripetere l'operazione con la seconda tavola.

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