sabato 26 dicembre 2009

L'anno del mare

La storia di una barca comincia con la sua costruzione, ma la sua vita comincia nel momento in cui tocca il mare. Il gozzo in legno a vela latina della Marina di Alimuri "Santa Maria del Lauro" è stato già toccato dal mare, quando la tempesta del 20 novembre 2008 spinse le onde fin dentro la grotta a lambirne lo scafo incompleto. E infatti, prima ancora di scendere in acqua, il gozzo di Mast'Antonio e Michele Cafiero ha cambiato le vite di quelli che vi lavorano, e forse persino la storia della Marina di Alimuri.
Doveva entrare in acqua in questo 2009, ma in mare, si sa, le date di partenza o di arrivo non dipendono mai dalla sola volontà dell'equipaggio. E quindi un nuovo calendario, ancora a pagina unica, ricorderà i giorni della barca a tutta la gente di mare, di porto o di bassi fondali che vorrà interessarsene.
Buon 2010 a tutti!

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martedì 15 dicembre 2009

Richiesta dalla Storia

Un blog è uno strumento di comunicazione a doppio senso: chi scrive si aspetta, e qualche volta riceve, commenti e pareri da chi legge. Ricevere una email è un po' insolito, ma la richiesta contenuta nella mail che ricevemmo a fine settembre lo era ancora di più. Contattai Michele, per chiedergli se fosse possibile esaudire la richiesta. Un carpentiere riceve molte richieste particolari nella sua carriera, e Michele non era di primo pelo anche prima di conoscere me. Da quando abbiamo cominciato questo progetto, però, anche la sua esperienza in cose insolite viene messa a dura prova. Stavolta, per me, era una semplice richiesta di consulenza sulla tecnica di costruzione di una vecchia barca. Quando Michele ha sentito la risposta alla sua domanda "Ma quanto vecchia?", però, un comune carpentiere avrebbe buttato giù il telefono. Ma siamo amici, e nonostante tutto, la fiducia è la base di ogni amicizia. Perciò Michele mi ha creduto senza battere ciglio, ho trasmesso il suo assenso alla richiesta, e abbiamo preso un appuntamento.
Il relitto della "nave cucita di Gela" è stato uno dei ritrovamenti che ha scosso convinzioni consolidate nell'archeologia navale. E' stata recuperata, e adesso viene studiata per ricostruire le antiche tecniche che ne permisero la costruzione, e capire perchè fosse costruita in un modo tanto particolare.
La dottoressa Alessandra Benini, dopo aver letto questo blog, ha incontrato Michele Cafiero, nella sua grotta, per sottoporgli i problemi costruttivi posti dall'esame del relitto di Gela. E l'imperturbabile Michele ha riconosciuto immediatamente, nelle foto e negli schemi del relitto sul laptop dell'archeologa, le forme e gli incastri della costruzione delle barche in legno, come lui le ha imparate dal padre, Mast'Antonio Cafiero, e come Mast'Antonio le imparò dal suo Maestro, Mast'Antonino "d'o Tore" Cafiero...
Già nel 600 a.C. quindi, la tecnica costruttiva della nave di Gela, incredibilmente sofisticata, incorporava le soluzioni che ancora oggi sono il punto d'arrivo di una millenaria esperienza evolutiva. Il lavoro degli archeologi continuerà, per capire perchè una nave "cucita" coesistesse con altre finora considerate più avanzate, e il lavoro di Michele Cafiero e dei carpentieri superstiti continuerà a tramandare le tecniche costruttive delle barche in legno del Mediterraneo. (la foto è stata scattata dal dr. Marco Anzidei, geologo dell'INGV)

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mercoledì 21 ottobre 2009

La Storia di una Barca su TeleFrance3

Venerdì 23 Ottobre, alle 2030, su Tele France 3, e sabato 24 alle 1830 su SKY TV5, andrà in onda la puntata di "Thalassa", storica trasmissione di mare, con il servizio sull'impresa di Mast'Antonio e Michele Cafiero.

Una grande soddisfazione per i due carpentieri, e per chiunque abbia a cuore l'esito della loro avventura.

Speriamo che la grande professionalità dell'equipe di "Thalassa" renda al meglio il loro lavoro.

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domenica 18 ottobre 2009

Pittura e stucco

Terminato il calafataggio, il gozzo "Santa Maria del Lauro" appare come una perfetta scultura di legno nudo. Purtroppo, il mare non ha pietà dei manufatti in legno: salsedine e sole lo distruggono in pochi mesi. E infatti, a differenza delle barche dei mari del nord, le barche mediterranee sono sempre state dipinte a colori vivaci e personalizzati.
Spesso è stato notato che dove la costa è calcarea, le case dei pescatori venivano imbiancate a calce, mentre sulle coste tufacee le case erano colorate, facilmente distinguibili da lontano. A Meta le due Marine, quella "di Meta" o del Purgatorio, i cui ruderi sono ai piedi della falesia di tufo, e quella di Alimuri, incastrata tra la parete calcarea dei Monti Lattari e la falesia del piano di Sorrento, avevano entrambe le caratteristiche.
Ma le barche erano colorate, decorate con simboli scaramantici e apotropaici, e religiosi, naturalmente.
Mast'Antonio ricorda che il gozzo del nonno, il "Santa Maria del Lauro" del 1919, era rosso, colore tra l'altro ben visibile in mare. Le piccole figlie di Michele decidono i colori della frisa.
Dopo le fatiche e le attenzioni dedicate allo scafo in legno, la pitturazione è quasi noiosa, per i carpentieri...


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mercoledì 14 ottobre 2009

Calafataggio

Il calafataggio è la tecnica millenaria che fa la differenza tra un armadio e una barca: entrambi sono fatti di parti in legno interconnesse in modo da servire ad uno scopo e resistere a dei carichi. Ma messi in acqua, il contenuto di un armadio si bagna, quello della barca no.
Persino la Bibbia, quando Noè riceve le istruzioni per costruire la sua barca, parla genericamente di "un'arca" (come dire "una scatola"), ma si dilunga dettagliatamente sul modo di impermeabilizzarla. E lo stesso avviene quando descrive la cesta a cui viene affidato il destino di Mosè.

E' un'arte in gran parte dimenticata.
Ad un signore, indirizzato alla grotta di Alimuri in cerca di "Maestri Calafàti", Mast'Antonio replica seccamente dandogli un indirizzo e un numero civico: quelli del cimitero di Meta.

Ma Mast'Antonio è modesto. Anche se è "solo" un Maestro d'Ascia, e non un Maestro Calafàto, è perfettamente in grado di eseguire il calafataggio al suo gozzo, usando gli strumenti da calafàto tramandatigli dal suo maestro.
Si tratta di una serie di scalpelli, apparentemente identici, da usare in progressione, e di una grossa e particolare mazzuola di legno. I primi scalpelli vengono usati per allargare i comenti (gli spazi tra le tavole del fasciame). Tra questi vengono inseriti degli intrecci di cotone (si usa la stoppa sulle barche più grosse o sui "bastimenti"), e questi, con altri scalpelli, più smussati, vengono spinti a sigillare le aperture tra la parti del fasciame. Su barche di dimensioni maggiori, come anche sulla coperta del gozzo, i comenti vengono sigillati colando pece fusa, poi levigata a livello. Su un gozzo di circa 7 metri, invece, con parti piccole non sottoposte a sollecitazioni o deformazioni significative rispetto alla larghezza del comento, basta stuccare e verniciare.

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venerdì 18 settembre 2009

La "chiudente"

L'ultima tavola del fasciame, quella che chiude lo scafo, è particolare. La sua posizione varia da cantiere a cantiere, ed esistono diverse scuole.
Nel cantiere Cafiero, sul gozzo "Santa Maria del Lauro", è la terza tavola dalla chiglia.
E' più stretta delle altre: infatti, mentre i bordi di ciascuna parte del fasciame sono tagliati per essere perpendicolari alle ordinate nel punto in cui vengono poste, secondo le regole della "righella dei cardamoni", i bordi della "chiudente", e delle due tavole attigue, sono tagliati in modo da darle una sezione a cuneo.
In questo modo, viene inserita tra le altre tavole senza forzature, ma al tempo stesso agendo da zeppa durante le torsioni e le flessioni dello scafo.
Anche questa tavola viene bagnata e scaldata al fuoco, poi inchiodata alle ordinate. E quando gli ultimi colpi di martello di Michele la assestano in posizione, il fasciame sulle ordinate è diventato uno scafo completo...

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domenica 13 settembre 2009

Acqua, legno e fuoco

Scendendo sulle fiancate, la curva del profilo dello scafo di un gozzo a vela latina supera le possibilità di curvatura naturale di una tavola di legno. Forzarla in posizione può causare rotture, o, peggio, cedimenti improvvisi una volta sotto sforzo.

Allora si ricorre ad un metodo arcaico, sempre uguale da migliaia di anni, probabilmente da quando Achei e Fenici costruivano le prime navi in legno.

Antonio, il giovane apprendista, già esperto, strofina con costanza e attenzione la tavola con uno straccio imbevuto d'acqua, mentre Michele Cafiero accende un fuoco con degli avanzi di legno in un secchio di ferro.
Il legno della tavola, poco alla volta, viene imbevuto di acqua, e diventa più elastico. Ma non basta ancora. Con estrema attenzione, Michele infila e rigira la tavola tra le fiamme. L'acqua penetra nelle fibre del legno, si riscalda e riscalda le fibre già ammorbidite. Se la tavola sembra asciugarsi, Michele la ritira dal fuoco e Antonio continua a bagnarla, in un gioco di equilibrio tra fuoco e acqua. Quando il legno sembra trasudare vapore, Michele si affretta verso Mast'Antonio che aspetta presso lo scafo del gozzo: con pochi gesti, veloci ma mai frenetici, fissano la prima tavola, il "torello", ancora fumante sulle ordinate, e la forzano contro la chiglia con "zeppe" e stringenti. La forano, la inchiodano, e quando la tavola si sarà asciugata, le fibre del legno resteranno deformate nella posizione imposta a caldo, ma senza forzature. Dopo, i carpentieri e l'apprendista si preparano a ripetere l'operazione con la seconda tavola.

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venerdì 11 settembre 2009

Via i puntelli

Da quando la chiglia è stata assemblata con la ruota di prua e il dritto di poppa, la barca è stata costruita su di essa. E da quando le ordinate sono state fissate alla chiglia, lo scheletro del gozzo "Santa Maria del Lauro" è stato fermamente bloccato con puntelli che lo bloccavano in posizione adatta alla lavorazione.
Adesso è arrivato il momento della posa del fasciame, e dopo le prime tavole, occorre adagiare quello che sarà lo scafo su un lato, per montare le tavole più vicine alla chiglia.

Nei semplici gesti misurati di Michele, che sposta la croce dalla prua per potela liberare, c'è la consapevolezza che questa è la fine del principio: adesso non si lavora più su una struttura di legno fissata al cantiere, si tratta di completare una barca.

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domenica 30 agosto 2009

La coperta

La coperta, la "copertura" dello scafo di una barca, è tetto, pavimento e completamento del "guscio" impermeabile dello scafo.
Nei gozzi da pesca, come quelli di Marina di Alimuri, era una copertura solo parziale, per proteggere lo scafo dalle onde che si rompevano a prua, e fornire un piano di calpestìo per il lavoro e la manovra della vela latina a prua.
Nelle barche in legno moderne, si ottiene con pannelli di compensato marino ricoperti di listelli di teak che imitano i "comenti", i listelli piatti su cui generazioni di mozzi hanno consumato redazze, ginocchia e gomiti.
Naturalmente, la coperta del gozzo "Santa Maria del Lauro", viene costruita col metodo tradizionale: sopra i bagli, i robusti comenti della coperta non solo dovranno reggere il peso dell'equipaggio, ma saranno forzati nella curvatura dello scafo in modo da aumentare la tenuta stagna e contribuire alla struttura portante dello scafo. L'esperienza di Mast'Antonio con le reazioni del legno e gli stringenti guida i comenti al loro posto, e la precisione di Michele li fissa e li raffina. In poche ore, la coperta del gozzo è pronta per essere calafatata. Ma per questo, non è ancora il momento.

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martedì 5 maggio 2009

"Noi veniamo da Malta..."

Quando ero bambino, i racconti di famiglia sembravano appartenere ad un'altra era. Non ascoltavo molto, ero più interessato al lavoro di mio padre e a dare martellate.
Cresciuto, e diventato carpentiere, da quelle storie di famiglia sentite in sottofondo come chiacchiere di vecchi, ho ricordato qualche frase che ha preso senso.
I Cafiero erano mercanti di seta, e vivevano a Malta. Ma avevano ancora case a Meta.
Dopo la caduta di Napoleone, scelsero di lasciare l'isola, e tornare alle origini.
Probabilmente, Malta sotto dogana britannica non era più una sede conveniente.
Anni dopo, avevano abbandonato il commercio della seta ed erano diventati carpentieri e maestri d'ascia, come mio padre e me: verso la metà del XIX secolo, i gelsi di Sorrento furono tutti sostituiti dagli agrumeti, e questo causò la fine della produzione di seta, o forse, al contrario, gli agrumi erano diventati più redditizi. Ricostruendo una barca dell'epoca (con l'ossatura in gelso), i ricordi di bambino diventano ricordi di famiglia, e aiutano a ricostruire la storia familiare.
La prua del gozzo in legno che stiamo costruendo, il "S. Maria del Lauro", sul modello del gozzo del nonno di mio padre, sarà dedicata alla Madonna di cui portava il nome. Ma all'interno, il simbolo del costruttore sarà una croce di Malta.

I braccioli e la frisa

I banchi e i bagli, collegati allo scafo per "chiudere" il semiguscio alle forze esterne, vengono rinforzati con delle caratteristiche strutture di puntello. I "braccioli" servono ad aumentare la superficie di contatto tra i due pezzi, distribuendo il carico su una parte di legno maggiore, rendendo improbabili cedimenti improvvisi sotto sforzo.

Con i braccioli, la struttura portante dello scafo è pressoché completa, e si passa alle strutture della coperta, che renderanno "abitabile" la barca. Un caratteristica dei gozzi di Alimuri, come di tutti i gozzi sorrentini, era la "frisa", una striscia di legno senza altra funzione strutturale che di alzare il bordo e sopportare il continuo logorio di reti e carichi che venivano salpati o filati in mare. Verso prua la frisa si innalza e si affila, diventa "falchetta", sostenuta da "scalmotti", per fungere da paraspruzzi, e termina bruscamente con la "schiocca", una robusta tavola trasversale destinata a sostenere il bompresso e ad assorbire gli urti delle onde contro la prua. La "schiocca", come le navi dei Greci e dei Fenici, era decorata con le immagini delle divinità tutelari: anche quella del gozzo "Santa Maria del Lauro" sarà così.

mercoledì 11 febbraio 2009

I bagli e i "vanchi"

L'ossatura è il guscio che dà allo scafo la forma che, spostando una quantità d'acqua più pesante del suo stesso peso, consentirà alla barca di galleggiare.
Ma in realtà è un semiguscio, visto che la metà superiore resta ovviamente aperta, non essendo necessaria al galleggiamento.
Questo però è vero fino ad un certo punto: se una barca è destinata a rimanere in mare a lungo, non si può ragionevolmente sperare di incontrare solo mare calmo, e onde che non superino il bordo della barca.
Ne consegue che una barca che speri di resistere al cattivo tempo viene dotata di un ponte, ossia una copertura stagna che protegga l'interno dello scafo. Il gozzo a vela latina "Santa Maria del Lauro", come tutti i gozzi della Marina di Alimuri, era una barca da pesca: non era concepito per affrontare tempeste o allontanarsi dalla costa, ma essendo votato ad un'attività economica, di sussistenza, sarebbe stato molto più competitivo se in grado di reggere le tipiche onde corte e rotte del maestrale del Golfo di Napoli.
Una delle caratteristiche di questo lato del golfo, infatti, è che quando si alza il vento dominante, si alza sempre anche il mare. E allora i gozzi da pesca mostrano una prua alta e la poppa arrotondata per non affondare nel cavo delle onde, e un caratteristico, piccolo ponte di coperta a prua, esteso lungo i bordi per scaricare l'acqua imbarcata. Ma soprattutto, oltre ai bagli, "archi" di sostegno per la coperta, avevano tre robusti "vanchi", ossia dei puntelli trasversali che collegavano le due fiancate, impedendo qualsiasi deformazione verso l'interno e scaricando l'urto costante con le onde di maestrale sul bordo opposto. Mast'Antonio Cafiero e suo figlio Michele hanno tagliato i "vanchi" e i bagli nel solido legno di olmo, e li incastrano con precisione impressionante tra il "dormiente" e la "cinta". Il loro gozzo in legno del XXI secolo fa un altro passo verso il mare.

venerdì 23 gennaio 2009

Un anno dopo

Il 24 gennaio del 2008 veniva scattata la prima foto del progetto del gozzo a vela latina "Santa Maria del Lauro", appena "tracciato", e cominciava l'avventura di Mast'Antonio e Michele Cafiero.

Sembra assurdo, ma pochi credevano che un mastro d'ascia e suo figlio fossero davvero in grado di costruire una barca d'altri tempi.

366 giorni dopo, la barca, costruita nel tempo libero, non è ancora finita, ma Michele ha già vinto la prima sfida: con la guida e l'aiuto inestimabile di Mast'Antonio ha allungato di un altro anno la tradizione plurisecolare dei costruttori di barche di Marina di Alimuri, offrendole un'occasione di rilancio.

Nella foto di Angelo Esposito, il giovane e appassionato ingegnere navale che li incoraggiò, il padre e figlio carpentieri posano con il modello della barca, realizzato da un amico secondo il progetto originale. Il gozzo non c'era ancora, se non nei loro sguardi, con una indifferente promessa.



Oggi lo stesso modello è appoggiato alla prua della barca che un anno fa era ancora racchiusa nel legno.

L'augurio, dopo il duro lavoro di un anno, è che il domani del gozzo a vela latina "Santa Maria del Lauro" sia quello di una barca viva in una Marina di Alimuri viva.