martedì 16 dicembre 2008

Un altro anno...

Siamo in ritardo con gli aggiornamenti, ma non con la costruzione.
Mentre il mare e il vento contribuiscono all'inverno, il 2008 sta per finire, e l'anno del varo del gozzo "Santa Maria del Lauro" sta per arrivare.
Abbiamo scelto di festeggiare il primo anno della barca con un calendario per gli amici e gli appassionati di mare, legno, vento e vela latina con un calendario.
Per il calendario 2009, l'immagine è quella della barca a metà della costruzione, tra il completamento dell'ossatura e l'inizio del fasciame.
Ma l'anno di nascita del gozzo sarà il 2008: la mareggiata del 20 novembre ha invaso la grotta, senza causare danni, ma l'acqua di mare ha bagnato lo scafo incompleto della barca.
Il gozzo a vela latina "Santa Maria del Lauro" non è stato ancora varato, ma è stato battezzato dalla tempesta.

mercoledì 5 novembre 2008

La cinta


Ora che le ordinate sono state fissate alla chiglia, e che sono state messe "in forma" da strutture provvisorie, è possibile iniziare a posare il fasciame. Nelle barche in legno non si tratta semplicemente di una copertura (a tenuta d'acqua, possibilmente) dell'ossatura, ma di una parte integrante di essa. La prima tavola, detta "cinta", è fondamentale per la tenuta della barca come un tutt'uno, e per rafforzarla viene accoppiata ad un'altra tavola all'interno delle ordinate, detta "dormiente".

Dopo essere stata tagliata, sempre in base al disegno, la tavola di mogano per la "cinta" viene immersa per qualche ora nell'acqua calda. Poi, ancora bagnata, l'estremità poppiera viene applicata con degli stringenti al dritto di poppa, e ordinata dopo ordinata viene piegata lungo la barca, grazie alla elasticità ottenuta con l'immersione in acqua. A questo punto, ci si accerta che le ordinate siano al loro posto, diritte e allineate, la tavola viene forata e inchiodata alle ordinate, e la tavola diventa la "cinta" della barca. Si ripete la procedura sull'altro bordo, misurando con cura la simmetria della tavola, e si congiungono le cinte di dritta e di sinistra alla ruota di prua.

giovedì 23 ottobre 2008

La forma

Applicate alla chiglia, le ordinate sono bloccate solo dai chiodi: ovvero, non sono bloccate, possono ruotare o allentarsi, e non possono svolgere alcuna funzione strutturale. Intorno ad esse verrà costruita una serie di strutture che finiranno per fissarle tra di loro e alla chiglia in modo che nessun pezzo dovrà sostenere uno sforzo da solo.

Nel frattempo, però, è necessario bloccarle in posizione, dando allo scafo la "forma" prevista dal piano di costruzione.
Con accurate misurazioni, le linee d'acqua vengono passate dai garbi alle ordinate, e queste vengono fermate a dei listelli longitudinali con degli stringenti, e poi inchiodate.
Lo scheletro, simmetrico e rigido, dovrà essere fermato in posizione perfettamente a livello con il pendio della grotta, con l'asse verticale a piombo, puntellato e bloccato. In quella posizione si potrà lavorare alle rimanenti strutture portanti, e al fasciame.

sabato 20 settembre 2008

Ossatura, ed ecco la barca!

Il giorno è arrivato: dopo infinite misurazioni, segni sulla chiglia, e modifiche infinitesimali agli incastri delle ordinate, le "costole" vengono fissate alla chiglia. La risposta alle critiche di chi "non riconosceva" il modo di lavorare di Mast'Antonio, che ha costruito prima le strutture portanti della barca, poi i singoli pezzi e infine la chiglia, è davanti agli occhi dei curiosi che sbirciano nella penombra della grotta di tufo: in poche decine di minuti, bizzarre forme di legno vengono unite a formare la "lisca" della barca, ancora barcollante e sbilenca, con le ordinate fissate solo dai lunghi chiodi zincati, i grezzi "bialà" a tenerle insieme, ma indiscutibilmente barca. Michele, Mast'Antonio e il giovane Antonio, apprendista vessato e volenteroso, forano col trapano la chiglia, posano le ordinate, le inchiodano alla chiglia, facendo attenzione a non forare il canale dell'ombrinale che scorre da prua a poppa, e ribattono i chiodi facendone penetrare la testa nel legno.
Ora tutto è cambiato, e quello che era un pigro lavoro per ritagli di tempo acquista la sacralità di un'attesa che culminerà nel varo e la benedizione del nome. Non a caso il primo gesto, dopo la posa delle ordinate a prua e a poppa, è stato inchiodare una croce alla parte più alta della prua della barca, come facevano i vecchi, più devoti, ma soprattutto più sensibili alle influenze ultraterrene. I pezzi sparsi che ingombravano gli angoli del cantiere si sono uniti, e sono diventati l'attrazione della grotta. Gli occhi dei ragazzini che la vedono sono sognanti. Quelli del cinico Mast'Antonio sono umidi.

venerdì 12 settembre 2008

Dritto di poppa, ruota di prua e incastri a palella

La chiglia è la spina dorsale dello scafo, l'unica struttura costruita dall'uomo per resistere a sforzi tridimensionali. Anche se per qualcuno è solo una trave, quando è unita al dritto di poppa e alla ruota di prua diventa il centro della carena, che può resistere alla forza congiunta delle onde, del peso del carico, della spinta di remi o vela (o motore), e al suo stesso peso.
Dal momento in cui questi pezzi vengono uniti, non saranno più solo dei "pezzi", ma formeranno, finalmente, una barca.

Ora si deve bloccare alla perfezione la chiglia allo "scalo", a piombo e a livello, per poter fissare ogni nuova parte con la precisione necessaria, e far sì che la barca sia simmetrica.

sabato 30 agosto 2008

La chiglia

Si può dire quello che si vuole della chiglia di una barca: che è la spina dorsale dello scafo, che è l'unica, o almeno la più antica struttura costruita dall'uomo per resistere a sforzi ortogonali, etc.
Ma la verità mi appare chiaramente quando la vedo sugli scanni del cantiere di Mast'Antonio, pronta ad essere lavorata, ed è una verità spoglia di ogni retorica tecnica o poetica: è una trave.
Una semplice, grossa trave di legno duro come pietra e altrettanto pesante, su cui si incastreranno le ordinate e le strutture di prua e di poppa, già pronte in un angolo della grotta.

Sembra tutto troppo semplice, e infatti dev'esserci un trucco, perchè Michele e il padre si affannano per un tempo interminabile a fare misurazioni accurate e a tracciare segni (scaramantici?) lungo la "trave". Poi cominciano a tagliare e a raffinare (con l'ascia!) le due estremità, per preparare l'incastro a "palella" dove nasceranno la prua e la poppa. Sembra solo un abbozzo, e invece la chiglia (la trave...) è pronta. Ora i pezzi di legno, travi e tavole, diventeranno una barca.

martedì 26 agosto 2008

"Se non si imposta la chiglia..."

Da quando ho cominciato a seguire i lavori di "Mast'Antonio" e Michele Cafiero, sono stato spesso sorpreso dai commenti disillusi, increduli o apertamente scettici sulla effettiva costruzione del gozzo "S. Maria del Lauro", versione 2008.
La frase che veniva ripetuta più spesso era "Se non hanno impostato la chiglia, la barca non la fanno", pronunciata quasi sempre, devo dire, con sincero rammarico.
Ma... ma i lavori proseguivano, a volte alacremente, a volte pigramente, seguendo una curva che ricalcava gli umori di Michele e del padre, la qualità dei loro rapporti e i malumori del mare, che spesso arrivava a "mettere le mani addosso" al cancello della grotta, superando i resti della spiaggia, erosa dal "porto". Escludevo che le mie foto fossero illusioni, e che lo spirito allegro di Michele e di suo padre avesse ispirato un elaborato scherzo. La barca stava effettivamente nascendo sotto i miei occhi, e i miei obiettivi.
Ma la chiglia?
In tutti i cantieri di barche effettivamente si parte dalla chiglia, poi su quella, con i mezzi garbi di legno, si impostano le ordinate, il fasciame e così via.
Questo cantiere, però, ha poco spazio, è in una grotta che è usata anche per il rimessaggio e l'alaggio di barche di ogni tipo. E Mast'Antonio ha imparato il mestiere dai Maestri d'ascia che costruivano brigantini a palo e navi goletta nei cantieri di Alimuri. Qui non hanno bisogno di impostare prima la chiglia, perchè seguono un disegno "tracciato", ogni pezzo deve corrispondere esattamente al disegno, quindi è indifferente l'ordine di costruzione. Non appena le ordinate, la ruota di prua e il dritto di poppa saranno pronti, verrà impostata la chiglia, e allora si vedrà nascere la barca, come in una notte. Forse sarà questo lo scherzo di Michele e Mast'Antonio...

giovedì 21 agosto 2008

Prua e Poppa

La chiglia, la ruota di prua ed il diritto di poppa sono le strutture primarie di una barca. Tutti gli sforzi che lo scafo sopporterà faranno perno su di loro, come sulla chiave di volta di un arcoIl legno, di conseguenza, deve essere di "prima scelta" e ben stagionato: come ci insegnano i "vecchi" maestri d'ascia la chiglia sarà di leccio(una specie di quercia), la ruota di prua ed il diritto di poppa di olmo.
Questi tre pezzi saranno tenuti uniti da un particolare incastro, l'incastro " a PALELLA di primo ordine con tacco di forza e caviglia ferma acqua". La caratteristica principale di questa tecnica è di distribuire gli sforzi lungo la curvatura del legno, senza cioè forzare la giunzione tra i pezzi, che potrebbero separarsi. Invece così tutte le forze che "attaccheranno" la barca spingeranno i pezzi l'uno contro l'altro, tenendoli uniti e aumentandone la capacità di resistenza.

giovedì 14 agosto 2008

Ossa di legno

L'ossatura della barca sarà composta dalle "costole", le ordinate, e da una chiglia che farà da "spina dorsale". A differenza delle ossa, ordinate e chiglia devono essere costruite e collegate in modo che la barca sia rigida, per non deformarsi sotto le forze che agiranno su di lei.
Ma la rigidezza non deve essere superiore alla resistenza dei materiali che la compongono: in una barca classica, legnami di diversa consistenza ed elasticità.
Sfruttando le forme e le venature naturali del legno, tagliato e unito secondo linee ed incastri collaudati da secoli, i vari pezzi dell'ossatura diventano un tutt'uno, una macchina fatta per resistere e reagire alle forze e ai carichi che l'attaccheranno da ogni direzione, con una resistenza ed una elasticità superiori a quelle di ogni singolo pezzo.

mercoledì 6 agosto 2008

L'ossatura

La classica immagine di una barca di legno in costruzione è quella di uno scheletro su cui, piano piano, crescono ossa e tessuti.
Prima di arrivare a questo, però, la fase del taglio delle "ossa", chiglia e ordinate, richiede pazienza e precisione.
"Mast'Antonio" Cafiero ha la precisione empirica che solo i "mastri" della sua generazione conoscevano.
Con l'aiuto della "righella dei cardamoni", lo strumento ricavato dal disegno del "traccio", le ordinate vengono liberate dal legno superfluo in cui erano rinchiuse, con la forma e l'inclinazione della barca che era nascosta nelle linee del disegno. L'odore del legno di gelso che viene segato, purtroppo, non si può fotografare, nè
filmare.



domenica 3 agosto 2008

Sogni e legnami


Perchè i sogni non si realizzano?
Per lo stesso motivo per cui "non si cantano messe"! All'inizio di qualsiasi progetto, specialmente della costruzione, si fanno i conti... con la realtà.
Costruire una barca costa. Costava già ai tempi del bisnonno, e costa ancora di più adesso. Il legno per "fare" il gozzo deve essere "buono": gelso e olmo per l'ossatura, leccio per la chiglia, pino per il fasciame, l'albero e l'antenna della vela latina. Alcuni di questi legni oggi sono difficili da trovare, altri sono diventati di qualità troppo bassa per la costruzione navale. Tutti costano.
E cominciavo a capire perchè c'è chi dice che "non si possono più fare le barche di una volta"... Se il legno costa, la manodopera non scherza, specialmente quella tanto specializzata. E in più
occorrono informazioni che sono difficili da trovare, difficili da interpretare, e ancora più difficili da mettere in pratica.
Per la costruzione del "S. Maria del Lauro" si sono fatti avanti degli sponsor. Ma questa era la barca del nonno di mio padre, che se la ricorda ancora, costruita in questa stessa grotta, su questa marina... E sono io quello che vuole vedere se si può fare! Accettare contributi alla costruzione significa rinunciare ad una parte di responsabilità.
La manodopera siamo noi, il legno, se si cerca, con tempo e denaro, si trova. Mio padre un po' di legno lo ha tenuto da parte dai vecchi tempi: il gelso, l'olmo, il leccio, pitchpine per l'albero e l'antenna. Purtroppo i pini di oggi sono troppo rovinati da parassiti e malattie, quindi il fasciame dovrà essere in mogano, ma i remi saranno di faggio, come devono essere. Prima faremo la barca, se si può fare... poi, forse, cercheremo gli sponsor!

giovedì 31 luglio 2008

Alimuri, il posto delle barche

La falesia di tufo del piano di Sorrento si congiunge ai rilievi calcarei dei monti Lattari in due punti della costa. Uno è Marina Grande, a Sorrento, l'altro la Marina di Alimuri, in quella che adesso è Meta.
Nonostante fantasiose e fuorvianti etimologie, basate su immaginarie vittorie sui pirati barbareschi, il nome sembra derivare da vocaboli greci, come molti toponimi della Magna Graecia, che indicavano un posto privo di porto, o lo scorrere di una cascata. In entrambi i casi il nome evidenziava l'interesse di naviganti.
La presenza di un arenile vero e proprio, lungo qualche centinaio di metri, e di sorgenti d'acqua, rendeva possibile tirare in secca le navi, e stabilirvi cantieri. Fino alla fine del XIX secolo i cantieri di Alimuri furono famosi, e la marineria metese una delle più ricche d'italia. Oggi la decadenza della marineria è arrivata allo stadio finale, al posto dei cantieri sorge un albergo, che testimonia il passaggio ad un'economia turistica, e un progetto sconsiderato e velleitario ha sepolto il porto ed eroso la spiaggia, minacciando anche quello che era un borgo marinaro. Restano le barche in legno, alate sulla spiaggia "di Meta", sotto la rupe che diede il nome al paese, e le grotte nel tufo, che ospitano i "monazzeni" dove ricoverare le barche e il cantiere di Michele Cafiero.

mercoledì 30 luglio 2008

Il nome di una barca da pesca

Il gozzo di Antonio Cafiero, nel 1919, era una barca da lavoro.
Il lavoro, in mare, dipende anche da fattori imponderabili, spesso indipendenti dalla capacità o la buona volontà di marinai e pescatori. E l'imponderabile può essere influenzato solo dal soprannaturale.
La fede e la superstizione degli uomini di mare sono proverbiali, da sempre, e affidare una barca alla protezione divina era l'unica assicurazione contro sfortune e pericoli. Chiamare la barca col nome di un santo onomastico, o di un'immagine sacra, significava identificarlo con essa, chiamandolo a condividerne la sorte, e al tempo stesso sacrificare l'orgoglio del possesso.
A Meta l'esistenza stessa del paese è dovuta alla presenza della statua della Madonna del Lauro, venerata come protettrice di naviganti. Decine di ex-voto marinari testimoniano la sua importanza per la gente di mare del posto, e la chiesa stessa, in origine dedicata "al Salvatore", da secoli è conosciuta con il nome della Madonna del Lauro.
Anche il gozzo da pesca di Antonio Cafiero si chiamava così, quindi, come chissà quante altre barche, e il gozzo che verrà ricostruito da Michele Cafiero, nel 2008, rispetterà la tradizione, e porterà il nome originale.
Si chiamerà "Santa Maria del Lauro".

lunedì 28 luglio 2008

"Fare una barca come quelle di una volta..."


Non era proprio un sogno, il mio.
Una curiosità, semmai: faccio il carpentiere, sono figlio di carpentieri e pescatori, e lavoro su barche in legno. Nel mio cantiere facciamo manutenzione di barche in legno, spesso riparazioni, anzi, "restauri", come si dice adesso, come per i mobili dei nonni.
Non sappiamo molto sulla teoria della costruzione delle barche "ai tempi di una volta", e molti appassionati hanno ricostruito dal nostro lavoro le tecniche antiche.
La cosa che mi ha incuriosito era quella che sentivo ripetere sempre più spesso: "non si possono più fare le barche con i sistemi di una volta". Ma perché, mi chiedevo senza capire?
Lo zio di mio padre aveva lasciato un disegno del gozzo che usava per pescare, e un amico aveva realizzato un modello da quel disegno. Mio padre è l'ultimo "mastro d'ascia" ancora in attività alla Marina di Alimuri, e ricorda bene anche quello che non mi ha ancora insegnato. E allora, tra tanti gozzi restaurati o ricostruiti che si sfidano in regate di vele latine, perché non ricostruire il "S. Maria del Lauro" del 1919? "Non è possibile fare una barca così con i sistemi di una volta". Ho chiamato un fotografo, e gli ho detto: "Vediamo se è vero".

domenica 27 luglio 2008

Nascita di una barca

Le barche in legno hanno sempre avuto un fascino straordinario su di me. Credo dipenda da molti fattori, alcuni decisamente personali, come la storia della mia famiglia, come mi era stata raccontata, o le letture da ragazzo.
Ma in molti subiamo il fascino delle vecchie barche, ed è allora intrigante cercare i motivi di questa seduzione: l'aspetto è quello che colpisce al cuore i fotografi del mare, con la sua geometria non euclidea, rigorosa, evidente ma ubbidiente a regole che sfuggono alla nostra assuefazione agli angoli retti.
In una grotta, sulla spiaggia dove in tanti siamo cresciuti in riva al mare, l'odore del tufo impregnato di salmastro e del legno appena segato toglie il fiato, e sembra ricordare che si entra in un mondo diverso. Da sempre, a memoria d'uomo, la grotta ha ospitato barche, persino la sua forma è stata plasmata dall'evoluzione dei mezzi di trasporto del mare. Galere, tartane, feluche, gozzi e motoscafi, alberi latini, remi e motori fuoribordo, e tutta la cornucopia di attrezzi necessari per la loro costruzione e manutenzione, hanno richiesto adattamenti, scavi, espansioni o modifiche.
Le volte mostrano ancora segni di picconi, in alcuni punti anneriti da lampade ad olio, dove ora passano fili elettrici e tubature.
Le invasature, come slitte reduci da un'era glaciale, sostano in fila sul pendio della grotta, pensato per loro, cariche di barche di ogni età.
In questo posto, un amico, un carpentiere, mi ha richiamato agli odori e alle sensazioni di un'infanzia lontana, e di iniziazioni, fatiche ed emozioni di altre vite, dimenticate.
Mi ha raccontato il suo sogno, e mi ha chiesto di raccontarne la realizzazione.